venerdì 25 dicembre 2009

Sono una persona felice

ore 20:05 nel piazzale del supermercato Esselunga di Prato Nord
Io, unica ultima solita ritardataria nel parcheggio, aggrovigliata di ombrello, borsa, chiavi, nascosta da cappotto, scialle, guanti e chissà cos'altro, sotto la pioggia torrenziale a fatica apro la bauliera della mia auto per caricare l'unica sporta della spesa, 
Si avvicina un "negrino", come lo chiamo io, un ragazzo di colore giovane, dal sorriso gentile, che non si vergogna a chiedere, ma lo fa col sorriso.
E' tutto scuro sotto un piccolo ombrello mezzo rotto, lui coperto da un giubbino che non solo non ripara dal freddo ma neppure dall'umido. Ho visto che lui ed altri si alternano, "raccattano" gli euri dei carrelli, e io il carrello non lo uso, quindi difficile che mi chiedano.
Però deve essersi avvicinato altre volte, anche in settimana mi pare, e ho risposto che non avevo monete. Non era una bugia, faccio parte di quelle persone che si riducono a volte senza neppure un euro nel portafoglio, un pò per disorganizzazione, ma soprattutto per via di brutte esperienze passate. Comunque mi era rimasta una specie di virgola nella pancia.
"Signora, mi dai qualcosa" - mi dice stasera.
"Non li ho" - rispondo.
Non è vero, stasera pochi ma li ho, solo non monete. E ho troppa paura di restare senza soldi per dare banconote.
"Tesoro, mi dispiace ma non sono ricca." rispondo senza guardarlo.
E anche questo è vero. So che pochi lo immaginerebbero, pochi hanno un'idea della mia vera situazione. Non faccio sfarzi, conduco una vita normale di persona assolutamente comune, ma la verità è che sto molto peggio, nessuno può immaginare i debiti, la mancanza di soldi, e la paura di perdere la dignità, restare senza lavoro, senza l'unica possibilità di far fronte alle rate. A volte mi sveglio la notte con la paura dentro, paura che accada qualcosa che non mi permetta di far fronte al piano serrato concordato con la banca per molti anni ancora.
"Ma è Natale" risponde lui con un tono un pò da bambino, mentre io chiudo lo sportello e mi avvio per salire in auto. E' così fastidiosa la virgola nella pancia. Istintivamente faccio due passi indietro, riapro la bauliera e allungo una mano frugando dentro ad un sacchetto; tiro fuori un pacco da 350 grammi di krisprolls integrali, non quelli originali naturalmente, quelli "taroccati" a marca del supermercato, secondo strategie per una  spesa più conscienziosa.
Chiudo lo sportello e dico prima ancora di voltarmi "Se non ti offendi...."
E lì accade qualcosa....
E' stato un attimo, perchè lui aveva capito prima ancora che parlassi, e si era lanciato verso di me, un sorriso fino agli orecchi e gli occhi che luccicavano nel buio.
"No, no, mi piacciono!" ha detto prendendo il sacchetto dalle mie mani e sorridendo.
Non avevo mai dato da mangiare a un affamato. Non è una litania, è stato veramente così. Ho offerto carezze, sorrisi, conforto a persone che stavano male, e ho letto gratitudine nei loro occhi, ma mai, mai, mi era capitato di dar da mangiare a un affamato. E' qualcosa che non c'entra con Cristo, e la religione, la chiesa e il Natale.
Non so descrivervi cosa ho visto ma non dimenticherò mai i suoi occhi nel momento che ha capito gli stavo offrendo da mangiare. 
Mentre si allontanava per stare da solo ho percepito la sua eccitazione nel cercare di strappare il sacchetto che non si apriva; era come una bolla, un'aura che lo circondava.
Il parcheggio veniva chiuso per la notte e lui, uscendo sotto l'ombrello rotto e la pioggia torrenziale, continuando a tentare di strappare il sacchetto, faceva grandi cenni di ringraziamento e saluto verso me, sempre con quel sorriso enorme.
"Buon Natale, buon Natale" continuava ad urlarmi.
So che può sembrare assurdo ma questi sono i momenti in cui vedo Dio. Perchè lui non ti parla come fa un tuo amico, Dio ti fa accadere le cose attorno, sta a te poi vedere.
Sono andata dai miei e sono rimasta lì un'oretta, stanca della giornata, sudata e desiderosa di una doccia, ma felice, oh così felice.
Nella mia auto c'è una cartella col portatile del lavoro e un pacco di documenti alto 6 centimetri. Sono molte ore di lavoro, documenti che probabilmente dovrò valutare domani sera, e sabato, e domenica, ma non importa. La mia spesa è piccola ma non importa. Ho una bottiglia di vino che mi sto gustando mentre scrivo, e il tavolo ricoperto di libri e bella biancheria da regalare ai miei amici. Si, ho "sprecato" ben 300 Euri per comperare tanti piccoli, davvero piccoli, regali per tutti i miei familiari ed amici cari. Avevo detto quest'anno di non fare regali ma pareva un Natale così triste, un Natale senza quel senso di famiglia, di coesione, che mi manca tanto e che trovo invece nel gesto di scambiarsi piccoli doni; quel senso di amore e condivisione che è così bello da sentire, e fa c
aldo al cuore.
Mi sento una regina. Rivedo ancora quegli occhi nel buio della notte sotto la pioggia.
Magari domani tornerò a lamentarmi ma stasera sono proprio felice, fortunata e molto felice.

domenica 20 dicembre 2009

La neve


La neve è arrivata. Quando accade resti sempre sorpreso tanto appare irreale. L’aria si riempie di puntini che sembra non cadere ma solo fluttuare. Poi tutto si ricopre di un mantello bianco e perfetto, e allora capisci che è vero.
La mattina si era presentata come una giornata limpida e piena di sole, di quelle sporadiche in inverno, col cielo terso, il freddo tagliente, e una luce che fa sbattere gli occhi. Era un peccato rinchiudersi, avevo pensato mentre andavo in ufficio. Avrei desiderato, che so, farmi 10 chilometri a piedi, come accadeva ai tempi di New York, quando andavo su è giù per le “avenues” col trolley carico, eccitata dal sole. Qualche ora più tardi mi ero voltata verso la finestra, e avevo visto che il cielo era diventato plumbeo. “Sembra di stare in montagna”, avevo detto alla mia collega. 
Io odio la montagna.  Mi ricorda le stagioni della casa in affitto, col mio fidanzato, del compromesso per sopravvivere ai weekend di coppia, per evitare quel “allora cosa si fa”.


Noi la prendevamo al Cimone. Sestola piace anche a me che non scio, poi la gente è cordiale e tutto appare meno tetro. L’unico periodo della mia vita in cui ho cucinato, lunghe maestose cene organizzate al sabato sera, coi pomeriggi trascorsi alla ricerca del menù perfetto, e la casa riempita di gente, scarponi, chiacchiere e allegria. Ciò nonostante non l’ho mai amata. L’ho subita. Per amore, necessità, ragionamento logico. Niente a che vedere col mare. Lì sto bene, mi dà gioia anche quando è triste, anzi, nella malinconia più acuta mi è affine. Io che lo temo, non so nuotare, mi schifo della sabbia appiccicosa, il mare lo adoro in tutte le sue salse: punta massima d'inverno, dopo la pioggia, quando non c’è nessuno e l’aria profuma di freddo e sale. C’è qualcosa d’impetuoso e sconosciuto  nel mare, anche quando è calmo, una forza che percepisco e diventa mia. Il mare, non quello addomesticato, fatto di corpi sovraesposti, ciabatte alla moda e completini colorati. No, quello vero, selvatico.


La montagna è morte istantanea, forse per questo ho ignorato la finestra sistematicamente, quasi con intenzione, fino alle otto di sera. Fino a quando, aspettando che S. richiamasse da New York, giostrando sulla poltrona, non mi è apparso un chiarore oltre la porta finestra; la mia auto parcheggiata sotto gli alberi coperta da un mantello, alto di neve indelebile, e i prati, le aiuole della stazione, il piazzale sotto, tutto sommerso, immacolato e bianco.
Le luci delle auto proseguono a passo d’uomo sulla strada, di tanto in tanto accendono il bianco sulla mia auto, inerte sotto i grandi tigli spogli e carichi di neve. Tutto è così irreale.
Chiama mia madre, come stai, vieni a casa.
Chiama mio padre, dal suo telefono nella stanza accanto a mia madre, vieni via, la neve è dappertutto.
Dai babbo, mica siamo sull’Appennino, sono in città, che vuoi che sia un po’ di neve, fammi andare che S. deve chiamare.
Sono rassegnata ma vorrei essere a casa, questa neve fa un effetto strano, accentua l’assurdità. Di me, di questo venerdì sera, della vita che non è ancora finita, del lavoro come una catena.  Come vorrei, ora, quell’unica persona, che sa vedere, capire, leggere in questa confusione e mirare dritto al punto.
Cazzo, sempre questi sogni. La neve continua a cadere e io aspetto. La prossima telefonata, altre istruzioni, indicazioni. Ma come fai a sopportarlo.  Mai il 100% di attenzione, c’è sempre un’altra chiamata, una nuova emergenza, tu che passi in secondo piano, anche se sono le nove di sera, anche se è venerdì e dovresti essere altrove. Ma c’è questo senso di pena che percepisci e non sai ignorare, di come le cose vanno male e in fondo sei coinvolta, e lui è despota ma debole. Non riesci a non odiarlo per il male che ti ha fatto in questi 5 anni, ma d’altronde che alternativa c’è, nessuna. Sei sulla barca, e il senso di pena è dove ti frega sempre, dove tu cedi e lui no. Così aspetti l’ennesima chiamata, ed esci dall’ufficio finalmente, nel silenzio della notte bianca, con le auto che passano piano, come in un video senza audio.
Torni a casa incerta sul ghiaccio, a passo d’uomo, ma più di tutto ti sorprende quella sensazione, irreale come quando una voce ti parla dentro. La neve rende tutto più lento, come a riprendere il ritmo. E anche a piedi non incontri un’anima. Il guardiano del parcheggio è murato nel gabbiotto, attraversi il centro storico nel silenzio, con la neve che ti cade addosso, e ti rifugi in casa pensando, tra e-mail, musica, vino e tanto stordimento.
Dei ragazzi schiamazzano facendo a pallate, surreale in piazza del Duomo; li spii dalla finestra e poi trascorri la notte alzata, e sogni, no, t’interroghi, “cosa mi porterà domani”.
La neve è arrivata in silenzio e ha rallentato tutto. Pare un segnale.

sabato 5 dicembre 2009

Santa Barbara Benedetta



Che in fondo è questa stanchezza della vita ciò che mi dà più pena.


Questa tristezza che ingrigisce ogni giorno come una ragnatela, e mi fa sentire come se avessi cent’anni.


Certo è che faccio una vitaccia. Al lavoro da mattino a notte fonda, a cento all’ora, senza soste, col cibo ingozzato sul computer, col panico di quello che non riesci a fare, dell’errore latente perché quando sei sotto pressione facile che fai anche qualche cazzata, della vita personale completamente ignorata al punto che sai che tra qualche anno spunterà, che so, una cartella della tasse, un qualche impianto che non hai revisionato, un dettaglio che, completamente assente, hai glissato in quel tuo menage familiare di single a oltranza, a rappresentare anche fisicamente la tua completa assenza dal privato.


E su tutto la gabbia. La consapevolezza di farlo solo per arrivare a fine mese, per i debiti da pagare, la crisi che non dà tregua e non dà alternative ad una donna di 47 anni, anche se con esperienza da offrire, chi se ne frega. In Italia non esiste professionalità, l’esperienza, specie femminile, non vale niente, sei solo roba vecchia che costa. La gabbia di subire un lavoro disumano, dove conta solo l’azienda e il risparmio aziendale, e di te resta una palla di rabbia, un fascio di nervi odiato e criticato perché non sorride più, non scherza più, li odia tutti e li mette in discussione, loro poveri ometti meschini. Che ti criticano, che non va mai bene nulla, che qui non si compensa l’effort ma la performance, che ti circondano di incompetenti ma la colpa è sempre tua, tua che hai “un sacco di persone che fanno le cose per te”.


“Sei come tua madre, l’eterna scontenta”, diceva mia nonna.


Certo, il mantra me lo ripeto continuamente. Come sono fortunata, ho un lavoro, pago l’affitto, le bollette, il prestito. Non resta altro. Punto.


E’  venerdi, sono tornata a casa alle 22 dall’ufficio, un’altr’ora e mezza di e-mails a casa e poi finalmente mi dedico alla cena. Insalata, stracchino, un bicchiere di morellino. Sarà quello che mi fa ribollire così.


O forse è il film che finalmente vedo a mezzanotte. E’venerdi e Mamma Mia. E allora in quel musical spensierato (Mamma mia quant’è brava Meryl Streep, non c’è verso, è brava e basta), al blu blu e bianco bianco bianco di quell’isola greca, a quella luce meravigliosa, mi sono ricordata di Mykonos, dei mie 23 anni, di come ero spensierata e leggiadra.


Non felice ma un’altra.  


Mi sono ricordata (di più, evocata, riemersa) di quella mia essenza che non è morta lo so, ma è sommersa sotto strati e strati e strati di esigenze, e necessità, e doveri, e chissà come si fa a ritrovarla. E una nostalgia profonda si è fatta strada e ora mi avvolge con lunghe lunghissime spire e stringe, stringe, e ho la strana sensazione come di aver davvero bevuto, in quel tipico fluttuare tra “brillità”  e normalità. Questi sono i momenti più difficili, quelli che so, che ci sono dentro io che busso per uscire, da questa corazza di fumo confuso.


“I have a dream “ canta la canzone.


I have a dream, I have a dream, I have a dream.


Dov’è finito quel sogno, quel sogno che mi fa fare cose sciocche, come mandare indietro le lancette fino a restare all’infinito nel 4 dicembre, come se fosse la mia festa per sempre, fossi per sempre il centro dell’universo, più facile da raggiungere, più semplice da recuperare.  Sos, venite a salvarmi.  Ho 47 anni. E chi se ne frega. Ho 47 anni. E allora. Sono adulta. Ma chi lo dice.


Ma vedi. Ci sono momenti, microattimi, in cui non ce la fai a scappare, ti trovi davanti a uno specchio e guardi, e poi quell’immagine t’insegue e persegue. Così io sfuggo ciò che sono diventata, che non curo tanto odio. E sfuggo il mio sogno ma talvolta lo ricordo. E qui posso finalmente ammetterlo. Qui, dove nessuno mi conosce e nessuno mi vede. Sognavo che l’altro me incontrato fosse appunto come me, responsabile e un po’ severo di giorno, ma la sera, il venerdì sera ecco, con me e come me chiudesse la porta, e diventasse la pubblicità Martini. Ecco il sogno. Noi, e che importa il resto: è solo 'quello che vediamo noi due. We have a dream, our only dream. Non esiste altro, possiamo essere tutto e dappertutto. In fondo è solo questione di complicità.


Poi arriva il pensiero parallelo, malefico, che mi ricorda i miei vent’anni e di come ridevo delle persone patetiche di mezz’età. Rido meno ora. Perché se ho un merito è di saper vedere la realtà, e so bene quando e quanto divento patetica.


Una mia amica, nei fumi dell’affetto, dice che è un peccato nessuno mi veda nell’intimità, che vanno “sprecate” un sacco di cose. Io penso invece, che in fondo questo è parte del quadro patetico, chi vale qualcosa riesce a farsi apprezzare comunque. Questo mio essere fa parte di quella decadenza, un po’ demodè, un po’ vecchia, insomma, patetica. E penso che nella mia vita c’è un buco. Si, tra giovane e vecchio. Non si capisce bene dove sono finita nel periodo intermedio, non ho fatto niente, non ho sperimentato. Dov’ero? Had I a dream? What was I? C’è un’amnesia ma una luce pazzesca, e un mare blù e un suono di estate nella mia testa, un sogno latente che, credo, resterebbe lì campassi cent’anni. C’è un sentirmi vecchia e bambina, anche a cent’anni. I have a dream.


Sos, venite a salvarmi.

lunedì 23 novembre 2009

Il Re del modellismo

http://www.youtube.com/watch?v=qaFYvqcL6DE&feature=related

Ci sono momenti belli e momenti brutti nella vita di ognuno di noi. E poco importano i fatti esatti, siamo di passaggio, può accaderci di tutto, o anche niente, l’importante è la capacità di vedere oltre i luoghi comuni, saper assaporare le cose semplici restando fuori dalla banalità. Sembra una definizione un po’ troppo filosofica, lo so, soprattutto per me che amo i sapori un po’ più concreti della mera filosofia, eppure mi è venuto  in mente in questi giorni, che ho avuto più tempo del solito per pensare.  Il pensiero parallelo è un po’ la mia costante, a volte l’ho creduto  una forma di follia, poi mi  hanno rassicurato che i pazzi si credono normali, ma provate voi ad avere una specie di voce narrante dentro, la sensazione di vedervi, sdoppiarvi, e mentre prendete parte a qualcosa avere un pensiero che commenta o fa supposizioni, trova didascalie. A volte mi sono vergognata di questo, specie se accadeva in situazioni particolari, che a mio avviso richiedevano la totale dedizione, ora cerco di accettarlo come parte di me. Forse è solo conseguenza del raziocinio che mi impongo, e che non riesce mai completamente a coprire la mia vera natura.  Comunque questa settimana il pensiero parallelo ha avuto libero sfogo, mentre più volte facevo avanti e indietro dalla città dove vivo, alla Val d’Orcia, a Grosseto, con il solo accompagnamento di un’emittente radio (di solito non ascolto la sola musica, mi porta troppo via e più di una volta mi sono “risvegliata” da qualche parte inconsapevole della strada percorsa).  


Faccio parte di una famiglia di poche persone, che hanno sempre vissuto lontane ma sono affettivamente molto unite. Mio padre, suo fratello e sua sorella, si sono separati giovanissimi. Nonna morì in un bombardamento, mio padre aveva 14 anni, zio 18, zia 20. Credo che quella tragedia li abbia uniti indissolubilmente. In loro, ad ogni incontro, ho sempre visto l’affetto palese, profondo, pur dopo mesi e mesi di lontananza.  Ognuno con una vita altrove, ma forte di quel loro legame. Ed è un legame che amo molto, che sento mio, per me che non ho radici se non in quella terra di Siena, dove praticamente non ho vissuto mai, ma dove stranamente riesco a ritrovarmi. Non so spiegare bene, non si tratta di un sentimento edonista perché sono luoghi fashion. Io lì dormo bene, sono meno inquieta, è qualcosa di emotivo ma anche fisico. La mia essenza che si sente a casa. A parte questo non potrei viverci, se non per brevi periodi, è una realtà che mi sta stretta, proprio come un grande albero, che ha bisogno di bucare la terra, allungarsi fuori e crescere, aprendosi sotto il cielo immenso. 


Mai come in questa settimana, che è stata intensa, caotica, dolorosa, interminabile,  ho capito come in ogni attimo ci sia un po’ di banale, di patetico, e di prezioso. Questa è stata la settimana senza sale, con un po’ di amaro e un pizzico di dolce. E mentre mio zio se ne andava proprio davanti a miei occhi, lasciandoci muti di sorpresa, io pensavo a quella morte che pareva un sonno, che d’improvviso era un mistero come mai mi era sembrata prima. 
Mentre cercavo un motivo per accettare l’accaduto ho pensato alla vita. Mentre mi sdoppiavo dal dolore pensavo all’incanto. Le tracce di tutti noi in quello che resta.


 “E’ morto il re del modellismo”, ha intitolato la cronaca della città, un gesto di affetto di coloro che, non familiari, hanno voluto inviargli un saluto, ricordando la sua passione per quel mestiere che si era scelto moltissimi anni prima. “Dimostrava 15 anni meno dei suoi anni... non amava la popolarità”.  Era un uomo con i piedi per terra che sapeva amare persone e cose, aggiungo io. I suoi modellini vivevano, usciva 4, anche 5 volte al giorno col suo Balzac, sentiva di far felice il suo cagnone fedele e amava condividere la sua gioia. Poi tornava a casa raccontando che ci aveva messo tanto perché era il cane ad “averlo portato giù giù fino alla questura”.   Era una persona seria che sapeva ridere. Non l’ho mai visto mostrare disprezzo, non l’ho mai sentito parlare con amarezza. Nella malinconia dei ricordi il pensiero parallelo mi mostra i luoghi comuni, “coloro che se ne vanno sono sempre i migliori”, e “i ricordi che restano sono spesso belli”, ma la verità è che questi sono solo in parte ricordi miei, per lo più sono tracce raccolte in giro, osservate in persone che testimoniavano il loro affetto.   


Mentre il prete officiava, e parlava dell’aldilà, e reagiva al grido di mia zia, che davanti a tutti urlava il suo dolore negando il mistero della fede, per quel suo non accettare il caso, un furgone che cieco di fretta 3 settimane fa passava mentre zio attraversava le strisce con Balzac, in quell'attimo il pensiero parallelo mi diceva che in fondo tutto è comunicazione, anche questo, ed è un peccato  che la religione a volte non abbia  il linguaggio giusto per parlare a chi è invaso dal dolore. Perdere la fede davanti ad una grande perdita è un clichè, eppure, perché la fede unisce ma la religione divide?






Niente accade per caso, sono fatalista. Credo nel disegno io, per questo “subisco” il mio destino aspettando che arrivi anche per me la meritata gioia. Ed è meraviglioso vedere la felicità di mio cugino che ha appena saputo di diventare  padre per la prima volta. Una nuova vita contro la perdita di una persona importante e cara. Altro clichè, eppure il mistero della vita e della morte è proprio questo. Tutto finisce ma non c’è fine. Restano le tracce. Resta ciò che ognuno è capace di raccogliere

Zio non ha sofferto, c'è un disegno anche in questo, ha dormito tutto il tempo fino al nostro arrivo. E mi sono chiesta quale fosse la ragione per cui non ci ha lasciati subito. Se n’è andato da solo, proprio al momento in cui anche noi eravamo davanti a lui, dopo giorni in cui ci siamo uniti con visite, telefonate, messaggi. Sono stati giorni durissimi e strani per me, trascorsi in auto in mezzo al traffico pesante, o in case lontane a prendermi cura di anziani da consolare, con le sere e le nottate al computer a recuperare le ore di lavoro, senza dormire, piene di caffè. Giorni in cui ho pianto pochissimo, pieni  di abbracci, e mani strette, e carezze.  Mia cugina mi ha sorpreso chiamandomi cara così tante volte. Lo so, lo sappiamo, ma non siamo solite dircelo.

Oggi ho tentato inutilmente di seguire un film, “Domenica, maledetta domenica”. E’ il genere che di solito piace a me (si, Van Damme non è il mio tipo), con personaggi appena trasgressivi,  mediamente inquieti o comunque non convenzionali, storie che mostrano le emozioni dei personaggi. Quelle vere, non come usa in molti film americani,  dove per mostrare emozione si fa fare una cantatina a qualcuno. Oggi però il film non lo seguo, manca la sincronia. E’ qualcosa di sottile, malinconico e dolce. 

Ho sempre pensato che la vita sia un po’ come una musica, tutto è soggettivo  certo, ma credo che in una melodia siano necessari dei toni drammatici  perchè ti tocchi dentro veramente. E allora così come si passa da note più delicate ad altre, magari singole, più forti, così forse è la vita. Io voglio la notte, una falce di luna, la luce del primo mattino e la nebbia che ho visto ieri. Voglio la luce, la gioia e il melodramma, la dolcezza della malinconia e sfinirmi di brividi. Voglio essere buona, e generosa, e vedere tracce di me in chi amo.  Sono un’inguaribile romantica, lo ammetto, e lo sarò fino alla fine.  Ora vorrei poter godere della dolce ebbrezza di un buon vino dimenticando ogni conseguenza.

Il pensiero parallelo è silenzioso. so che sto “sedimentando”. Prima o poi ogni dato verrà elaborato e allora forse sarò più ricca, più matura spero.  

Tutto finisce ma non c’è fine. Restano le tracce. Resta ciò che ognuno è capace di raccogliere. 

lunedì 16 novembre 2009

Fedeltà

Quasi tutti gli uomini sono convinti che la fedeltà abbia a che fare con il possesso, o la mancanza di possesso. O con la morale, o assenza di morale.  Io credo che la fedeltà sia un valore, una caratteristica del temperamento, ce l’hai oppure no, la percepisci o meno. E non si impara. E’ come l’eleganza, la raffinatezza, il talento. Imparare a vestirti bene non ti rende elegante. Puoi affinare il tuo gusto ma non impari ad essere raffinato. E’ possibile raggiungere un alto livello tecnico con lo studio, l’esercizio, ma non puoi apprendere il talento.  Per la fedeltà è lo stesso.  E non avere questo valore non impedisce di vivere bene, non ci rende inferiori, semplicemente ci fa essere compatibili o meno con altri. Fedeltà per me significa legame indissolubile e imprescindibile, un elemento unico di identificazione che ti fa restare attaccato a qualcuno anche se sei lontano migliaia di chilometri, anche se non lo senti e non lo vedi. In questo senso io sono come un soldato, attaccato alla sua patria pieno di ardore e passione, che resta per giorni nel fango e nell’orrore della trincea, pronto a morire. E' un seme che qualcuno ti ha lasciato e germina dentro te. Detto così fa quasi paura, quasi che questo seme ti tolga qualcosa ma non è così.


Giorni fa ho visto un vecchissimo film francese, Histoire d’O.
Quando uscì ero una ragazzina e non avevo idea di cosa trattasse, mi colpì solo il nome. Affascinante a suo modo, come può esserlo in modo empirico qualsiasi storia che sta per essere raccontata.  Anni dopo in discoteca mi trovai davanti Corinne Clery, stretta per mano ad un tipo bellissimo, Thanassos, insomma, due che non passano inosservati, me lei di più. Ricordo di aver pensato che aveva qualcosa che andava oltre la semplice bellezza, e ancora oggi la ritengo una delle donne più affascinanti che io abbia mai visto. Mi sarebbe piaciuto essere una donna così. Insomma, con questa curiosità mi sono messa a guardare Histoire d’O, e anche se non sono pratica di film erotici, e per certi versi mi sono un po’ annoiata, devo riconoscere al film un certo fascino. Insomma, i francesi hanno Histoire d’O, noi italiani Miranda.  Anche se devo ammettere che con l’età ho un po’ “rivalutato” Tinto Brass, dimenticando” lo schifo che a vent’anni mi fece “La chiave” e riconoscendo che, se non altro, sa raccontare le sue porcate con ironia e allegria, resta comunque il fatto che non va mai oltre la “gnocca”.

Comunque. Histoire d’O racconta di obbedienza e sottomissione, abnegazione addirittura. E’ un film raffinato, perverso, e, per me, inquietante e spaventoso. La fedeltà che viene esasperata al punto da diventare possesso che spersonalizza. Ti appartengo al punto che puoi darmi ad altri. Dimostrami quanto mi ami facendo per me questo e quest’altro, e quell'altro ancora, non perchè ti obbligo ma perchè tu vuoi dimostrarmi quanto sei mia. Detto così sembra facile. E’ un film forte, un tema molto difficile da raccontare ma il motivo che principalmente me lo ha reso “spaventoso” è che in quella storia c’è la perdità della libertà dell’essere, mascherato sotto forma di compiacenza. Lo faccio perchè così ti dimostro quanto ti amo. E' perverso, come è perverso qualsiasi cosa che ci rende infelici e facciamo per rendere felice qualcun altro. (E quante cose facciamo ogni giorno che eppure contengono questa forma di perversione).


Ultimamente la curiosità e l’ignoranza mi hanno spinta a leggere  dei racconti erotici e anche dei blog. Mi pare che ci sia tanta “roba” trita, in prevalenza stile Brass, però in mezzo al mucchio trovi anche cose  raffinate e, letteralmente parlando, “belle”. Comunque. Ho scoperto che la fedeltà può essere un fattore erotico. Fedeltà intesa come incentivo della complicità. Ho sempre pensato che tra due persone tutto è permesso. Siamo così condizionati dal mondo esterno, dall’educazione, la famiglia, l’entourage di persone che ci circondano, che ci giudicano, che parlano di te. Il moralismo, il perbenismo, gravitano sul nostro quotidiano inquinandolo, togliendoci spontaneità. Ma quello tra due persone, è, deve essere un mondo a sé.  Ho sentito spesso dire “io parlo di tutto, non ho tabù”, “perché non vuoi raccontarmi di questo, sei piena di inibizioni”.
Mi pare che ci sia molta confusione, a mio parere si confonde il moralismo con il senso del privato. Avere pudore, custodire un proprio ambito personale e intimo è un valore. E condividere con una unica persona questo spazio ha un potere altissimo. Donare un tuo segreto ad un altro ti unisce e ti rende vulnerabile, e sta alle persone fare buon uso di questo potere, concedere con parsimonia il proprio "segreto". E’ qualcosa di molto cerebrale, che non ha nulla a che vedere con l’erotismo di Brass. E se penso a quello che ho letto, a storie sui blog che alla fine si assomigliano tutte, mi viene da sorridere (non per  superiorità).
Ci sono persone la cui vera essenza molto difficilmente viene a galla,  occorre trovare quell’unica persona che riesce ad aprire la combinazione segreta, è una questione chimica, e solo  quell’elemento sprigiona tutta una serie di reazioni. Ecco, per me percepire questo  è un plus, va oltre il possesso. Non si è devoti l’uno all’altro per convenzione, educazione, lo si è per selezione. E identificare l’elemento che ci accende è un privilegio, è una fortuna. Essere sleali in questo menage non ha senso, è come fermarsi da McDonald se non ti piacciono hot dog e patatine fritte.


So che parlo di qualcosa di molto raro che,  sembra quasi irreale, eppure esiste. Non è eterno. Le persone mutano come muta il mondo. E’ il viaggio della vita, si attraversano fasi, stagioni, ci si evolve e a volte ci si perde. Ma  credo che dovremmo cercare tutti più a fondo, la nostra vera essenza, vivere con verità, anche nella coppia.


Non giudico chi non è fedele, così come per me in Histoire d’O non c’era libertà (e può sembrare un controsenso), ci sono persone che non sono fedeli a prescindere. Pensano che la fedeltà tolga loro libertà, che sia una condizione limitante, che con una sola donna/uomo perdano il senso della vita. Non posso dire se è così, siamo diversi e nessuno sa cosa c’è dentro un altro. Una cosa però so: è faticoso rinnovarsi, rimboccarsi le maniche e inventarsi ogni giorno un menage nuovo, cercare di essere una persona nuova.  Si torna a casa dal lavoro stanchi, sfibrati, delusi,  e la fantasia si dilegua persa dietro alle frustrazioni e ci si dimentica di quale grande occasione può essere quella persona che ti è accanto. Quella persona che come te, è stanca, sfibrata, delusa. Che una volta forse era tua complice. E sarebbe così facile ora fare un nuovo patto. Aiutami a dimenticarmi di quella merda del giorno. Chiudiamo la porta e inventiamo un gioco tutto per noi. “Diventiamo da ora in poi, l’uno per l’altro qualcosa di diverso. Siamo l’uno l’avventura dell’altro.


Lo so, parlare (o scrivere), è così facile. Ma sono convinta che l’infedeltà abbia a che fare con la pigrizia. (anche la fedeltà, mi risponderà qualcuno). E qui si torna al valore, ce l’hai o non ce l’hai. Non è giudizio, non è morale, sono solo differenze. L’importante è fare attenzione ad avvicinarci a chi è come noi, per non farsi del male. Una coppia mista può creare grandi sofferenze. Si, perché chi è tradito soffre indicibilmente, perde la cosa più grande la fiducia, mentre l’infedele reso monogamo si sente  limitato, privato di qualcosa.  


Sfiducia e privazione, non so, sono mie riflessioni. Io purtroppo o per fortuna, sono una persona passionale, ho il senso dell’assoluto che mi attraversa. Mi emoziono leggendo Jane Eyre e pensando a Mr. Rochester. Forse semino ”letteratura” su di un quotidiano che è molto più semplice di quanto non lo veda io, ma non è questo che ci rende superiori, la nostra capacità di infondere romanticismo alle esperienze della vita, non è il lirismo che ha elevato l’uomo alle vette più alte......

http://www.youtube.com/watch?v=JJVMnKKwe6A&NR=1

sabato 31 ottobre 2009

Eppure sentire (Un senso di te)

http://www.youtube.com/watch?v=WsQ4TL0d7MQ

.
A un passo dal possibile

A un passo da te
Paura di decidere
Paura di me

Di tutto quello che non so
Di tutto quello che non ho

Eppure sentire
Nei fiori tra l'asfalto
Nei cieli di cobalto - c'è

Eppure sentire
Nei sogni in fondo a un pianto
Nei giorni di silenzio - c'è

un senso di te

mmm...mmm...mmm...mmm...
C'è un senso di te
mmm...mmm...mmm...mmm...

Eppure sentire
Nei fiori tra l'asfalto
Nei cieli di cobalto - c'è

Eppure sentire
Nei sogni in fondo a un pianto
Nei giorni di silenzio - c'è

Un senso di te

mmm...mmm...mmm...mmm...
C'è un senso di te
mmm...mmm...mmm...mmm...

Un senso di te
mmm...mmm...mmm...mmm...
C'è un senso di te
.
.
.
Elisa

domenica 25 ottobre 2009

Domenica

Così leggendo è trascorsa la domenica.
Letture insolite per me, di solito mi oriento su altro. Ma c'è questa specie di voglia di capire, e crescere direi. Si, anche sotto questo aspetto.
Che ci sia una parte di me ancora largamente adoloscenziale è un fatto inequivocabile, é in parte un cruccio per me. Non facile da accettare, ma che fare.
Così approfondisco, vago tra le frasi malscritte, supero gli errori di ortografia e scarto tutte le cose più brutte, l'ignoranza palese, la grossolanità, trattenendo solo ciò che mi sembra più bello.
Cerco il succo anche in questo, tra la volgarità.
E' paradossale. Se lo sapesse S. probabilmente coglierebbe l'occasione per schernirmi di nuovo e sbattermi addosso le sue parole pesanti,senza delicatezza. Mi urlerebbe la sua verità senza capire che in fondo quello che faccio è molto più simile a quello che mi incita a fare di quanto sembri.
Perchè della filosofia m' importa poco, quello che voglio è solo essere donna. E sentirmi bambina mi piace poco, fomenta le mie insicurezze. C'è un emisfero immenso di cui non so niente, dentro e fuori me. Mille mondi ancora da esplorare, elaborare. Sto formando il mio gusto, così come si fa per l'abbigliamento, per l'arredamento, sondando riviste e negozi, osservando merci e sedimentando dentro ogni informazione che poi si trasformerà in input personali e assolutamente inconfutabili. E' un pò tardi ma sono ancora in tempo.
Quello che ignori delle donne è davvero tanto sai. Certo ognuno è diverso, ma tutti, tutte, abbiamo un enorme magnifico mondo segreto che nulla ha a che vedere con l'allenamento dei muscoli, con l'approfondimento dei testi, con la fisica e la filosofia. Queste sono cose da uomini.
Esiste invece un altro aspetto altrettanto grande: il cuore. C'è questa cosa immensa che io invece voglio allenare, che può essere così potente da spazzare via ogni cosa, l'inesperienza, l'ignoranza, la paura, l'arroganza. Il cuore di saper essere vicino all'altro, sapersi immedesimare nell'altro. L'esserci: Viva, presente, delicata. Percepire e condividere ogni sensazione.
Forse  non è eccitante. Serve ad altro.

martedì 20 ottobre 2009

messaggio per peace80


Cara, è veramente difficile contattarti.
Hai un blog privato, non è possibile inviarti pvt, non hai amici loggati, sei un bunker.
Mi lasci messaggi , ma io come faccio a risponderti????
Provo con questo post, sperando tu lo legga.
Per quello che mi chiedi, mi dispiace ma non posso aiutarti. Non perchè non vorrei no, ma sono l'ultima persona a cui lui dà ascolto. Mi blocca di continuo, ormai ho smesso di parlare. Ti capisco, so che ci si resta male ma lui è così. Fattene una ragione, non è uno con cui poter dialogare, sente solo la sua campana, punto.
E' un peccato lo so, ma non c'è rimedio.
Un abbraccio. B

sabato 3 ottobre 2009

Bellezza

 http://www.youtube.com/watch?v=Mja04fbbcFs&NR=1

E' questo per me.
E a volte, sentirne dentro un pò, diventa indispensabile.
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.
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Yearning for more than a blue day
I enter your new life for me
Burning for the true day
I welcome your new life for me
Forgive me, Let live me
Set my spirit free
Losing, it comes in a cold wave
Of guilt and shame all over me
Child has arrived in the darkness
The hollow triumph of a tree
Forgive me, Let live me
Kiss my falling knee
Forgive me, Let live me
Bless my destiny
Forgive me, Let live me
Set my spirit free
Weakness sown, Overgrown
Man is the baby



(Antony Hegarty)






lunedì 28 settembre 2009

Di nuovo



Che senso ha se non ci è utile.  Mi sono chiesta mille volte, ed ogni giorno data la mia professione, le tante sfaccettature dell’animo umano, quanto siano delicati gli equilibri che determinano o meno la ricettività dell’interlocutore.


Ho capito, ormai da molto tempo, quanto sia delicato stabilire un contatto vero, utile allo scopo di trasmettere un messaggio concreto, contatto definito non tanto dall’esperienza nella lingua quanto piuttosto dalla capacità di immedesimarsi nell’altro, accettarne le differenze, di personalità, cultura, background sociologico.
Se non avessi appreso questo, e in questo non m’impegnassi ogni giorno, sarei senza lavoro da un pezzo.






Invece con te, purtroppo, dov'è non è il dovere ma il desiderio a spingermi, non riesco a superare il muro. Ogni mossa è sbagliata, ogni parola è letale. Siamo all’impasse, non ci scambiamo nulla, non riusciamo ad andare oltre “l’errore 1”, “l’hai sbagliato ancora”, non se ne esce. Eppure lo sa Iddio quanto vorrei riuscire a raggiungerti, quanto vorrei comunicare solo con l’affetto che sento.




Mi hai detto di nuovo che ti ho fatto male, ma come è possibile, io voglio esattamente l’opposto! Vorrei poterti solo donare un lungo e silenzioso abbraccio sperando così di toccare il tuo cuore senza far danni, invece resta solo la frustrazione per la distanza che m'impedisce questo gesto, e lascia il malinteso costante sul nostro tentativo di unione.

Potrei fregarmene ma non è possibile, per quanto possa stare in silenzio e in disparte questa cosa resterà dentro me continuando a parlarmi ogni giorno.


Com'è possibile che l'unica voce, quella dell'amore puro, dovrebbe ma invece non riesce... a parlare.

domenica 27 settembre 2009

Stasera

E suoni di tamburi. Voci incomprensibili. Lingue che si mischiano. E neri che ballano vestiti di colori. La vita mi raggiunge mentre dal portone scendo il gradino sulla strada fiorita, la respiro muovendomi su per la via. E’ un mantello che si stende su su, sulla pietra e l'asfalto. Ci sono rose, erica bicolore, violette, gigli, anturium, ortensie a palla e giunchiglie. Rosso, rosa, bianco, viola, blu, arancio, sfumature su sfumature come un tappeto che poi finisce e ridiventa strada di pietra.

Prendo una rosa per mia madre. “Come la vuoi?” “Gialla” rispondo.

“E’ bellissima. La tengo per me!” scherza lui col sorriso infantile. Pago e me la porto via tra le braccia, ridendo. Col passo incerto,  sui tacchi alti a zigzag tra pietre spioventi, attraverso la folla, mi tiro fuori dai fiori, verso la quiete. E allora ti vedo, ti avvicini dal passato, lo stesso viso sfrontato tra i capelli sconnessi, e tutto quel grigio sopra, che ora sono gli anni trascorsi.

Ti guardo dritto gli occhi, ti supero, ma non riesco a resistere, anche mentre continuo a camminare mi volto e guardo indietro, incurante che non sei solo, che tu mi veda, e chissà dove ho trovato questo coraggio che non c’è mai. Sorrido e ti fermi.  Anche io, si fermano tutti.

“Ciao!” diciamo sorpresi.  

“Ma come sei diventata....” ci pensi. “Ma come sei diventata....” ripeti. 

Poi ci abbracciamo e baciamo sulla guancia.

“Vecchia” rispondo io ridendo.

“No” dici tu “No. Sei sempre uguale.” Leggo nei tuoi occhi. Sorpresa. Ammirazione. Nostalgia. Tenerezza.

Il mio cuore trabocca. Dolce. C'è una punta di vanità compiaciuta. Affetto che riaffiora dal passato. E poi abbasso gli occhi sul bambino che ci guarda.
“E’ tuo figlio? Il tempo passa.....”  

“Si” – rispondi – “mio e di Maria...ricordi??’

Sorridendo ci allontaniamo, ognuno per la propria strada. Ricordo tutto, ogni momento, anche dopo quanto, 22 anni; il tempo sembra rallentato, tornato a galla da chissà dove. Ma sono felice, mi hai fatta felice, volo sulle punte verso la sera. Guido a casa dei miei, faccio le cose di sempre, doveri, consuetudini, il solito quotidiano, con le immagini del passato che si srotolano tra le tempie, come musica dagli auricolari, una frequenza a parte.  

Quando torno alla mia piazza è ancora festa. M’infilo tra le bancarelle, l’odore di cibo mi dà alla testa mentre ci spostiamo a fatica. Il suono dei tamburi è assordante ma io cerco, cerco, cosa. Muovendo tra le tende del mio passato, cerco la me di allora.  Ma  sono qui. Non dietro l’angolo, qui, non altrove.  Allora scivolo, tra la folla, indietro verso casa. Apro il portone e salgo su, verso la mia quiete monotonia, ma con un po’ di tenerezza in più.

lunedì 21 settembre 2009

Incongruenze

È una cosa strana quella della morte che arriva così...della guerra vissuta così.


Ricordo il video di una  giornalista spagnola che vidi  circa 3 mesi fa...per la prima volta  capii che i nostri soldati erano in guerra...si ...perché questo erano le immagini davanti ai miei occhi...silenziosa agghiacciante incredibile guerra:


un fortino sperso da qualche parte in Afghanistan... dentro i nostri militari... spari dappertutto... voci concitate... una telecamera  immobile che riprende una scala...soldati vicinissimi che a tratti si intravedono...urlano di spostarsi...via via...via via...gli spari da fuori a scroscio...mitragliatrici...inframmezzati da  parole urlate in italiano


A quelli come me... che alla guerra non ci vogliono pensare... che l’idea delle armi gli fa ribollire il sangue al punto che dà fastidio anche vederle nei film...e se li guardi è per non limitarti perché in fondo fa  parte di un minimo d’informazione...per quanto può essere informazione un film...rendersi conto tutto d’un colpo che dei ragazzi tuoi connazionali sono a fare la guerra...è un brutto risveglio.


Premetto che a me piace la realtà. In senso  concettuale intendo. Ho bisogno di ancorarmi alla realtà per terribile che sia. Io che tendo spesso  a sollevarmi al vento di mille sogni nella realtà trovo la salvezza.  E a volte “sporcarsi un po’ le mani”  con le brutture del quotidiano ti fa bene, un po’ come la sana sculacciata al momento giusto. Ma questo no.  Trovi pezzi della tua realtà in mezzo a qualcosa che ripudi con tutto te stesso e speravi di non vedere mai.


E mi tornano in mente i racconti di mio nonno che ha fatto la prima guerra e poi il partigiano in Val d’Orcia, e di mio padre e mia zia e della fame patita, della tessera che non bastava o le patate mangiate per un anno intero ringraziando iddio che quelle almeno riempivano la pancia, della guerra in Libia di mio zio e dei suo 7 anni di prigionia nell’allora Ceylon, insomma racconti che sapevano quasi di leggenda e che riecheggiano  ora con un senso di realtà diverso e nuovo.


Sensazioni contrastanti in mezzo a questi pensieri odiosi che mi assalgono ultimamente.
Perlopiù  perché sono pensieri inutili...intanto perché li tengo per me...poi perché non si traducono in azione...e infine perché se anche volessi agire in qualche modo non saprei che fare  di veramente incisivo. Posso cambiare il mondo? Posso impedire che gli uomini trovino mille scuse per farsi la guerra e uccidersi  con tutto l’orrore che questo comporta? No, certo che non posso, ma sapere che non è colpa mia non mi fa sentire meglio, anzi.  Perché penso che in fin dei conti io vedo solo la punta di un iceberg, ma la vera realtà di quello che è una guerra la sa solo chi la vive in prima persona, in "trincea", in mezzo agli spari, all’orrore. Ed è difficilissimo da accettare che accada tutto a due passi da casa tua. 


Mi chiedo, ma come si fa a non pensarci?


Poi ne muoiono altri 6, giovani che molti potrebbero essere miei figli, non hanno ancora vissuto niente della vita  ma laggiù hanno visto il peggio, e ora è tutto finito per loro.  E penso che questo modo fa schifo, la guerra fa schifo, la politica fa schifo, le major, l’industria bellica, tutto fa schifo.


Ma insieme all’orrore mi scende dentro  anche una spirale di pensieri a catena, su  perché quei ragazzi fossero lì. Perché questa non è più la leva, prima di partire per la missione questi  ragazzi hanno firmato per fare i soldati.  Per scelta.  Si sono addestrati, ci hanno creduto.  Una passione, di più, un ideale, altissimo, forte, al punto da rischiare la vita.  E mi dico che certo avrebbero preferito vivere ma forse per loro morire così ha un senso, e per questo deve averlo anche per noi.  E’ in questo modo credo, che dobbiamo mostrare il rispetto che si meritano, smettendo di discutere se è giusto o meno quello che hanno fatto.


La guerra è ingiusta ma loro erano lì per loro scelta personale, per difendere  una causa altissima, e nessuno di noi sconosciuti  che con loro abbiamo condiviso solo la cittadinanza, ha il diritto di giudicare. Io personalmente mi sento di ringraziare, per questo gesto estremo di generosità, anche se non condivido le motivazioni, anche se odio la guerra.  Li ringrazio.


Oggi  poi, vagando in Internet tra le notizie, mi è capitato di leggere il nome di Gianfranco Paglia, e spinta dalla curiosità mi sono informata sulla sua vicenda.  Ammetto di aver sempre guardato ai firmatari come a una specie di esaltati, spesso di matrice fascista, in particolare tra i parà della Folgore, gente in cerca di una causa a cui votarsi per vivere, o di un modo per "giocare" al soldato, per maneggiare le armi.  Confesso di non avere mai, in tempo di pace, pensato a loro con rispetto, anzi. Credo di essere stata estremamente cieca ed ingiusta.


Al di là delle convinzioni personali, delle ideologie politiche e culturali, ascoltare Gianfranco Paglia mi ha fatto sentire una sciocca presuntuosa superficiale ignorante. Dopo avere letto a lungo  ho cercato il video di Ballarò e lì ho sentito parlare un giovane uomo  che non smanica per farsi ascoltare, (e questo già fa specie dato che è deputato Pdl), ma che anzi si esprime con modestia e dignità, parco di parole soprattutto sulla sua condizione di eroe nazionale (e ne abbiamo così pochi, diciamocelo).   Non c’era niente di esaltato in lui, mi ha ricordato (passatemi l’abbinamento  quasi blasfemo), Papa Woytila, per quella fede che trasudava dalle sue parole pacate e che trasmettevano forza e, in qualche modo, serenità.  


Ecco, questo mi ha fatto riflettere. E’ di questa fede che dobbiamo avere rispetto, di chi crede in qualcosa così profondamente, con grande fervore e dignità, così intensamente al punto da dare la vita. L’onestà, la lealtà, l’onore, sono valori cosi rari da trovare, meritano rispetto, sempre e comunque.


La guerra fa schifo ma non facciamo demagogia sui caduti. Stiamo zitti, rispettiamo il loro sacrificio e per le lotte politiche usiamo altri argomenti.  



sabato 29 agosto 2009

Sensazioni

Vi è mai capitato di sentirvi il cuore gonfio, ricolmo che pare straripare, e vorreste allungare il braccio tendere la mano e fondervi con la persona davanti a voi


Però non si può, e ve ne restate immobili per timore che tutta questa cosa straripi e si riveli


Con la frustrazione che ammanta quel senso di tenerezza che vi pervade

martedì 11 agosto 2009

A volte




A volte non so comunicare, non so dire, come dire...a quella persona di cui mi pare di sentire anche il cuore.


Un cuore così bello e pieno di coraggio che mi emoziona ogni volta.


Ma appena parlo magiche stregate le mie parole schiantano sul muro durissimo che ci separa.


E allora vorrei che a parlare fosse una carezza.


E nel mio sguardo lui chiarisse ogni dubbio.


Dissolvere poi la mia insicurezza.


A spezzare questa distanza tra noi.

La storia di Chiara

Cercando in Internet, oggi, sono finita su Wikio/salute, e da lì a questo link. A volte si ha bisogno di leggere storie come questa, per chiunque volesse sapere.



.........................




"Spesso capita di sentirci tristi, di lamentarci che la nostra vita potrebbe essere migliore, di sognare di essere come quel vip sempre al centro dell'attenzione e apprezzato da molti.

Spesso guardiamo alle cose che non vanno, guardandoci intorno e notare come il mondo sia marcio, pieno di ingiustizie e di brutte situazioni.



Poche volte ci soffermiamo un attimo a vedere le meraviglie della natura, quanto siamo fortunati e quanto sia utile per gli altri anche la nostra breve esistenza. Osservando le brutture del mondo non ci rendiamo conto che ogni giorno, ogni ora e ogni minuto della nostra vita è un miracolo, un'esperienza irripetibile dalla quale possiamo trarre numerosi insegnamenti.



Chiara è una ragazza di 21 anni che ha visto il male in faccia. A 13 anni, prima dell'esame di terza media, ha notato delle difficoltà, il suo fisico non rispondeva bene ai comandi. Da una risonanza magnetica la sentenza dei medici è stata: tumore al cervello. La ragazza che nel maggio del 2000 era poco più che una bambina, ha dovuto passare dei momenti molto difficili, periodi duri fatti di chemioterapia e radioterapia. Ha perso i suoi bei boccoli biondi, ma ha scoperto quanto sia meravigliosa la vita, la sua vita.





Altri avrebbero visto nel suo destino una disgrazia insormontabile che l'avrebbe segnata per tutta la vita. Invece le parole di Chiara nella lettera che ho letto oggi nella rubrica di Umberto Galimberti su "la Repubblica delle Donne" sono di una gioia e di una forza che trovo difficile spiegare. Parole che dovrebbero leggere coloro che, entrati in depressione, vedono tutto nero, arrivando addirittura a pensare che la propria vita è talmente triste e inutile da considerare il suicidio una liberazione.


Chi ha visto il male e ha conosciuto cosa significa rischiare la vita capisce spesso solo allora quanto si può essere fortunati nel vedere anche solo il sorgere del sole la mattina.





Ecco la bellissima testimonianza di Chiara:





"Era estate. L'estate del 2000. L'estate che ricorderò per tutta la vita. Avevo tredici anni e la scuola stava finendo. Tutti i miei compagni si stavano preparando per l'esame di terza media. Per me come per i miei amici era un esame importante. Il primo vero esame. Mi stavo impegnando. Ero felice di prepararlo non rendendomi conto che c'era un esame tutt'altro che scolastico ma ben più impegativo ad attendermi.


Vedevo e sentivo che c'era qualcosa che non andava. Quelle forti emicranie al mattino appena sveglia, la spossatezza continua e poi quella mano, i cui piccoli gesti non riuscivo a controllare. Mi cadevano di mano gli oggetti, la mia scrittura non era più la stessa e a danza ogni piroetta finiva con un giramento di testa. Perdevo l'equilibrio. Mi dovevo fermare. Non capivo. Eppure dentro di me sapevo che c'era qualcosa di strano.


La risposta è arrivata un pomeriggio di maggio nel corridoio dell'ospedale adiacente alle sale della TAC. Mi ricordo che io e i miei genitori stavano aspettando seduti su quelle sedioline asettiche dell'ospedale. Per me l'attesa era snervante, c'era puzza di disinfettante e quel posto non mi piaceva.


Solo dopo la risonanza magnetica capii tutto fino in fondo. C'era una noce annidatasi nel mio cervelletto anzi, "una lenticchia", proprio così mi venne spiegato.


In seguito, questa lenticchia venne tolta. Quello che successe in quell'estate non fu molto piacevole. Chemioterapia e radioterapia non sono facili da sopportare.


Eppure ora, a ventun anni, posso dire di essere cresciuta in un'estate, durante quell'estate. In quei mesi scoprii quanto ero fortunata. In fondo non avevo una leucemia fulminante e non ero in attesa di un donatore che chissà quando sarebbe arrivato. Ero fortunata.


Nell'estate del 2000 ho imparato tante cose. Ho imparato ad amare la vita e ciò che fino ad allora mi sembrava scontato, un mio diritto. Ho scoperto un dovere: quello di ringraziare per tutte le meraviglie della vita. Ho imparato a sorridere con il cuore davanti a uno sguardo divertito, davanti a un mazzo di fiori, davanti a una giornata di sole e anche davanti a una di pioggia.


Ogni sera prima di addormentarmi penso alle cose che ho fatto durante la giornata e mi sento privilegiata. Anche se la radioterapia ha portato via i miei bellissimi boccoli biondi, ho imparato che non è quello che mi farà essere migliore.


Sono fiera di ciò che sono diventata. Adesso guardo a ciò che è successo come una grande esperienza che ha contribuito a forgiare il mio carattere. Mi ha dato la possibilità di vivere qualcosa che prima conoscevo solo come lunghe e complicate parolone pronunciate dai più grandi, come qualcosa di lontano da me. Certo sbatterci contro ha fatto male, ha lasciato la cicatrice. Una cicatrice che è sempre lì per non farmi dimenticare quanto sono fortunata.


A volte, sento addosso l'opprimente sguardo di qualcuno che, trovandosi davanti a me per la prima volta, non può fare a meno di volgere inconsciamente lo sguardo ai miei capelli. Ormai ci sono abituata. Ma una cosa bellissima è notare come l'interesse gradualmente si sposti verso qualcos'altro, come le involontarie occhiate furtive vengano sostituite dall'interesse per ciò che esprimo con le parole e che lascio trasparire dai miei occhi.


Mi piace comparare la mia storia alla scelta fatta da un atleta per coronare il sogno di vincere le Olimpiadi. Una lunga strada fatta di duri allenamenti lo attende per raggiungere la forma perfetta. Io non ho mai scelto di gareggiare alle Olimpiadi, ma qualcuno ha deciso che dovevo fare l'atleta.


Chiara"





Chiara, grazie di esistere".



martedì 4 agosto 2009

Gli ostacoli del cuore

C'è un principio di magia
Fra gli ostacoli del cuore
Che si attacca volentieri
Fra una sera che non muore
E una notte da scartare
Come un pacco di natale

C'è un principio d'ironia
Nel tenere coccolati
I pensieri più segreti
E trovarli già svelati
E a parlare ero io
Sono io che li ho prestati

Quante cose che non sai di me
Quante cose che non puoi sapere
Quante cose da portare nel viaggio insieme

C'è un principio di allegria
Fra gli ostacoli del cuore
Che mi voglio meritare
Anche mentre guardo il mare
Mentre lascio naufragare
Un ridicolo pensiero

Quante cose che non sai di me
Quante cose che non puoi sapere
Quante cose da portare nel viaggio insieme

Quante cose che non sai di me
Quante cose devi meritare
Quante cose da buttare nel viaggio insieme

C'è un principio di energia
Che mi spinge a dondolare
Fra il mio dire ed il mio fare
E sentire fa rumore
Fa rumore camminare
Fra gli ostacoli del cuore

Quante cose che non sai di me
Quante cose che non puoi sapere
Quante cose da portare nel viaggio insieme

Quante cose che non sai di me
Quante cose che non vuoi sapere
Quante cose da buttare nel viaggio insieme



(Elisa)

domenica 2 agosto 2009

Nei silenzi

Scorrono morbide curve di una strada da percorrere
vanno via ruvidi giorni di un novembre senza nuvole
la rugiada È un velo di pellicole che avvolge luci e
prospettive surreali
e penso a te, solo tu puoi sentire, puoi comprendere

Nei silenzi, dentro le parole che non ti ho mai detto
é chiaro quanto t'amo e non saprei immaginare la mia
vita senza te

troverei energie, le mie ultime risorse le userei
per tornare ogni volta da te o raggiungerti
dall'altra parte del mondo
tra i vapori e nebbie di fuliggine
tra milioni di persone e oceani blu china
io sarò là dove sei tu che sai leggere nei miei pensieri
e non ho più misteri.

Nei silenzi, in un'emozione rotta da un respiro
é chiaro quanto t'amo e non saprei immaginare la mia
vita senza te

t'amo e non saprei immaginare la mia
vita senza te



(Raf)