sabato 5 dicembre 2009

Santa Barbara Benedetta



Che in fondo è questa stanchezza della vita ciò che mi dà più pena.


Questa tristezza che ingrigisce ogni giorno come una ragnatela, e mi fa sentire come se avessi cent’anni.


Certo è che faccio una vitaccia. Al lavoro da mattino a notte fonda, a cento all’ora, senza soste, col cibo ingozzato sul computer, col panico di quello che non riesci a fare, dell’errore latente perché quando sei sotto pressione facile che fai anche qualche cazzata, della vita personale completamente ignorata al punto che sai che tra qualche anno spunterà, che so, una cartella della tasse, un qualche impianto che non hai revisionato, un dettaglio che, completamente assente, hai glissato in quel tuo menage familiare di single a oltranza, a rappresentare anche fisicamente la tua completa assenza dal privato.


E su tutto la gabbia. La consapevolezza di farlo solo per arrivare a fine mese, per i debiti da pagare, la crisi che non dà tregua e non dà alternative ad una donna di 47 anni, anche se con esperienza da offrire, chi se ne frega. In Italia non esiste professionalità, l’esperienza, specie femminile, non vale niente, sei solo roba vecchia che costa. La gabbia di subire un lavoro disumano, dove conta solo l’azienda e il risparmio aziendale, e di te resta una palla di rabbia, un fascio di nervi odiato e criticato perché non sorride più, non scherza più, li odia tutti e li mette in discussione, loro poveri ometti meschini. Che ti criticano, che non va mai bene nulla, che qui non si compensa l’effort ma la performance, che ti circondano di incompetenti ma la colpa è sempre tua, tua che hai “un sacco di persone che fanno le cose per te”.


“Sei come tua madre, l’eterna scontenta”, diceva mia nonna.


Certo, il mantra me lo ripeto continuamente. Come sono fortunata, ho un lavoro, pago l’affitto, le bollette, il prestito. Non resta altro. Punto.


E’  venerdi, sono tornata a casa alle 22 dall’ufficio, un’altr’ora e mezza di e-mails a casa e poi finalmente mi dedico alla cena. Insalata, stracchino, un bicchiere di morellino. Sarà quello che mi fa ribollire così.


O forse è il film che finalmente vedo a mezzanotte. E’venerdi e Mamma Mia. E allora in quel musical spensierato (Mamma mia quant’è brava Meryl Streep, non c’è verso, è brava e basta), al blu blu e bianco bianco bianco di quell’isola greca, a quella luce meravigliosa, mi sono ricordata di Mykonos, dei mie 23 anni, di come ero spensierata e leggiadra.


Non felice ma un’altra.  


Mi sono ricordata (di più, evocata, riemersa) di quella mia essenza che non è morta lo so, ma è sommersa sotto strati e strati e strati di esigenze, e necessità, e doveri, e chissà come si fa a ritrovarla. E una nostalgia profonda si è fatta strada e ora mi avvolge con lunghe lunghissime spire e stringe, stringe, e ho la strana sensazione come di aver davvero bevuto, in quel tipico fluttuare tra “brillità”  e normalità. Questi sono i momenti più difficili, quelli che so, che ci sono dentro io che busso per uscire, da questa corazza di fumo confuso.


“I have a dream “ canta la canzone.


I have a dream, I have a dream, I have a dream.


Dov’è finito quel sogno, quel sogno che mi fa fare cose sciocche, come mandare indietro le lancette fino a restare all’infinito nel 4 dicembre, come se fosse la mia festa per sempre, fossi per sempre il centro dell’universo, più facile da raggiungere, più semplice da recuperare.  Sos, venite a salvarmi.  Ho 47 anni. E chi se ne frega. Ho 47 anni. E allora. Sono adulta. Ma chi lo dice.


Ma vedi. Ci sono momenti, microattimi, in cui non ce la fai a scappare, ti trovi davanti a uno specchio e guardi, e poi quell’immagine t’insegue e persegue. Così io sfuggo ciò che sono diventata, che non curo tanto odio. E sfuggo il mio sogno ma talvolta lo ricordo. E qui posso finalmente ammetterlo. Qui, dove nessuno mi conosce e nessuno mi vede. Sognavo che l’altro me incontrato fosse appunto come me, responsabile e un po’ severo di giorno, ma la sera, il venerdì sera ecco, con me e come me chiudesse la porta, e diventasse la pubblicità Martini. Ecco il sogno. Noi, e che importa il resto: è solo 'quello che vediamo noi due. We have a dream, our only dream. Non esiste altro, possiamo essere tutto e dappertutto. In fondo è solo questione di complicità.


Poi arriva il pensiero parallelo, malefico, che mi ricorda i miei vent’anni e di come ridevo delle persone patetiche di mezz’età. Rido meno ora. Perché se ho un merito è di saper vedere la realtà, e so bene quando e quanto divento patetica.


Una mia amica, nei fumi dell’affetto, dice che è un peccato nessuno mi veda nell’intimità, che vanno “sprecate” un sacco di cose. Io penso invece, che in fondo questo è parte del quadro patetico, chi vale qualcosa riesce a farsi apprezzare comunque. Questo mio essere fa parte di quella decadenza, un po’ demodè, un po’ vecchia, insomma, patetica. E penso che nella mia vita c’è un buco. Si, tra giovane e vecchio. Non si capisce bene dove sono finita nel periodo intermedio, non ho fatto niente, non ho sperimentato. Dov’ero? Had I a dream? What was I? C’è un’amnesia ma una luce pazzesca, e un mare blù e un suono di estate nella mia testa, un sogno latente che, credo, resterebbe lì campassi cent’anni. C’è un sentirmi vecchia e bambina, anche a cent’anni. I have a dream.


Sos, venite a salvarmi.

4 commenti:

  1. Dio, come scrivi bene,  maledettamente bene,
     ed anche se sono stanco ed ho voglia di andare a dormire, il piacere di leggerti fino in fondo me lo tolgo, poi rileggerò un vecchio fumetto di Julia, poi,  se i fantasmi della mia mente  avranno sonno anche loro, forse riuscirò a dormire. "Peccato quella piccola divergenza sulle "divise"..."
    E' sempre bello incontrarti, mi fai pensare all'Europa del Nord, che non ho mai visitato ma che sento  comunque molto vicina a me.

    Buonanotte Maggie.

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  2. Grazie, sfogo qui le mie paturnie, quelle che non puoi far sapere a nessuno, che non puoi mostrare nel quotidiano. Curioso il farti pensare al Nord Europa, ho sempre pensato di essere molto "mediterranea". Un saluto :) B

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  3. Che pena però leggere della tua vita grigia. Che a parte lo stracchino e il morellino e Mykonos in una vita passata, non nomini niente di bello. Ma sei sicura che non c'è niente di bello? Sicura-sicura? Come dice la canzone: "re-assess your life, it can't be that bad." Ok, ok, non è una canzone; I just made it up. But still... ;-)

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  4. @juanriccio = Sai come si dice, vedere la bellezza è un talento personale. Credo di averlo ancora, nonostante tutto. So emozionarmi, di un tramonto, un’ aiuola fiorita, una canzone ma soprattutto del sorriso della gente. E so indignarmi, e gasarmi. Ma sono lontani i tempi in cui mi definivano “fumata naturale”. Il punto è che non c’è più occasione di vederli i tramonti, i fiori, la gente, ed è frustrante e mi ribolle il sangue. Mi dispiace che leggermi ti abbia annoiato, o rattristato, ma vedi, splinder è la mia valvola di sfogo, sono un tipino incazzoso, e scalpito con facilità. Diciamo che non sono il genere “brasiliano”, che vive nelle favelas ma è felice ugualmente e balla la samba, io mi sentirei cretina a ballare felice. Forse è solo presunzione, che credo di sentirle solo io le emozioni per i tramonti, che rinchiuso al mio posto vorrei ci fosse qualcuno di quelli più “normali”. Presunzione perchè vorrei di più, perchè credo di meritare di più. Ti assicuro, “It is that bad!” Ma sei dolce, e allora affiora di nuovo quella parola su di te: “Ecco”. (= sintesi di catena di pensieri troppo lunga e pretenziosa da scrivere qui). Un abbraccio. B

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