martedì 25 marzo 2008

Cosa significa


avere una storia in mente


e una rete impedisce che scenda giù


e appaia lì


davanti a te


nero su bianco


quale meccanismo perverso


frena


di più


intralcia  l'ovvio e dovuto il necessario


ancora oggi continuo ad essere la più grande nemica di me stessa


paura di fallire


o paura di non essere poi così male


è davvero ridicolo


ora sto diventando ridicola

lunedì 24 marzo 2008

Se sapessi come fai

Se sapessi come fai


a fregartene cosi di me,


se potessi farlo anch'io


ogni volta che tu giochi


col nostro addio.





Se sapessi come fai


a esser sempre cosi certa


che io dico, dico ma alla fine


vengo sempre poi a pregarti


"non andare via".





Vorrei che per un giorno solo


le parti si potessero invertire:


quel giorno ti farei soffrire


come ora soffro io





Se sapessi come fai


a fregartene cosi di me,


a sapere cosi bene


sino a che punto ho bisogno di te,


a saperlo cosi bene


ancor meglio di me.

sabato 22 marzo 2008

Esperimenti

Un po’ per ansia, e un po’ per disperazione, quella sera uscii a bere qualcosa con un collega. Me lo chiedeva da tanto ed io dicevo no, grazie. Stavolta mi aveva preso alla sprovvista, senza nessuna risposta pronta da dare per rifiutare in modo ovvio e gentile. Ma era stato un errore. Certi uomini mi fanno sentire terribile. Se ne stava lì a guardarmi con gli occhi da pesce sul banco. Come fai anche solo ad immaginarti costruire qualcosa con qualcuno a cui capisci fai paura.
Diceva - “Allora che mi racconti di bello?” - e io pensavo che se me lo avesse chiesto ancora avrei potuto fare un gesto inconsulto, lì, davanti a tutti. Ma cosa mai avrei potuto “fare di bello”? Io!! Neanche non mi vedesse tutti i santi giorni in ufficio, con la testa china, cosa potevo raccontargli che non sapesse già? Lo avevo visto che gironzolava intorno alla mia stanza, quando facevo tardi in ufficio. Sapeva bene cosa facevo.  Ma quello sguardo!  Mi faceva sentire cattiva. Così rispondevo “Niente dai, raccontami tu qualcosa.”
Diceva “Sei mai stata sposata?”
Ecco qua, di bene in meglio. Rispondevo “No, mai. Che ne pensi della strategia di Bertelli con la Luxor?”. 
“Beh, è banale, non arriverà allo scopo” diceva lui giocherellando col piede del bicchiere. Lo stringeva delicatamente tra le dita, scuotendolo in senso circolare, facendo vorticare il vino, ne aspirava l’aroma, poi alzava il bicchiere per osservarne il colore. Mi faceva una rabbia. Come se avessi bisogno di effetti speciali! Io avevo bisogno di effetti normali, normalissimi.  Combattuta tra estrema irritazione e sensi di colpa sfuggivo il suo sguardo. Lui si muoveva  come su un campo minato. Io mi sentivo per esplodere.






Mi dicevo che in fondo dovevo capirlo, non doveva essere facile per lui. Arrivato qui da poco, città nuova, lavoro nuovo, impegnativo, poco tempo per fare conoscenze, alla nostra età, dopo che ti sei tuffato nel lavoro, e risvegliato improvvisamente da solo, e tra le braccia il tuo bell’impiego. Pensavo “Dai, non sarebbe neanche male. E’ curato, piuttosto elegante, belle mani”. E’ che non sopportavo come mi guardava. Davvero. E poi ero così stanca: di fingere, attuare strategie, cercare di essere allegra, socievole,  mostrare una leggerezza che da tanto ormai non provavo. Avrei voluto un uomo che dicesse “non importa se sei un po’ nervosa, ti capisco, sei andata troppo in là”.  Questo mi avrebbe fatta rilassare. Un uomo che dicesse “non preoccuparti, io vedo oltre” e che non mi facesse domande come “cosa mi racconti di bello”? Che non mi vedesse come una virago, che “mi” leggesse tra le righe…Lo so, non è possibile.


No, non era possibile, e così concludemmo la nostra unica serata, frustrati, tutti e due credo.