lunedì 28 settembre 2009

Di nuovo



Che senso ha se non ci è utile.  Mi sono chiesta mille volte, ed ogni giorno data la mia professione, le tante sfaccettature dell’animo umano, quanto siano delicati gli equilibri che determinano o meno la ricettività dell’interlocutore.


Ho capito, ormai da molto tempo, quanto sia delicato stabilire un contatto vero, utile allo scopo di trasmettere un messaggio concreto, contatto definito non tanto dall’esperienza nella lingua quanto piuttosto dalla capacità di immedesimarsi nell’altro, accettarne le differenze, di personalità, cultura, background sociologico.
Se non avessi appreso questo, e in questo non m’impegnassi ogni giorno, sarei senza lavoro da un pezzo.






Invece con te, purtroppo, dov'è non è il dovere ma il desiderio a spingermi, non riesco a superare il muro. Ogni mossa è sbagliata, ogni parola è letale. Siamo all’impasse, non ci scambiamo nulla, non riusciamo ad andare oltre “l’errore 1”, “l’hai sbagliato ancora”, non se ne esce. Eppure lo sa Iddio quanto vorrei riuscire a raggiungerti, quanto vorrei comunicare solo con l’affetto che sento.




Mi hai detto di nuovo che ti ho fatto male, ma come è possibile, io voglio esattamente l’opposto! Vorrei poterti solo donare un lungo e silenzioso abbraccio sperando così di toccare il tuo cuore senza far danni, invece resta solo la frustrazione per la distanza che m'impedisce questo gesto, e lascia il malinteso costante sul nostro tentativo di unione.

Potrei fregarmene ma non è possibile, per quanto possa stare in silenzio e in disparte questa cosa resterà dentro me continuando a parlarmi ogni giorno.


Com'è possibile che l'unica voce, quella dell'amore puro, dovrebbe ma invece non riesce... a parlare.

domenica 27 settembre 2009

Stasera

E suoni di tamburi. Voci incomprensibili. Lingue che si mischiano. E neri che ballano vestiti di colori. La vita mi raggiunge mentre dal portone scendo il gradino sulla strada fiorita, la respiro muovendomi su per la via. E’ un mantello che si stende su su, sulla pietra e l'asfalto. Ci sono rose, erica bicolore, violette, gigli, anturium, ortensie a palla e giunchiglie. Rosso, rosa, bianco, viola, blu, arancio, sfumature su sfumature come un tappeto che poi finisce e ridiventa strada di pietra.

Prendo una rosa per mia madre. “Come la vuoi?” “Gialla” rispondo.

“E’ bellissima. La tengo per me!” scherza lui col sorriso infantile. Pago e me la porto via tra le braccia, ridendo. Col passo incerto,  sui tacchi alti a zigzag tra pietre spioventi, attraverso la folla, mi tiro fuori dai fiori, verso la quiete. E allora ti vedo, ti avvicini dal passato, lo stesso viso sfrontato tra i capelli sconnessi, e tutto quel grigio sopra, che ora sono gli anni trascorsi.

Ti guardo dritto gli occhi, ti supero, ma non riesco a resistere, anche mentre continuo a camminare mi volto e guardo indietro, incurante che non sei solo, che tu mi veda, e chissà dove ho trovato questo coraggio che non c’è mai. Sorrido e ti fermi.  Anche io, si fermano tutti.

“Ciao!” diciamo sorpresi.  

“Ma come sei diventata....” ci pensi. “Ma come sei diventata....” ripeti. 

Poi ci abbracciamo e baciamo sulla guancia.

“Vecchia” rispondo io ridendo.

“No” dici tu “No. Sei sempre uguale.” Leggo nei tuoi occhi. Sorpresa. Ammirazione. Nostalgia. Tenerezza.

Il mio cuore trabocca. Dolce. C'è una punta di vanità compiaciuta. Affetto che riaffiora dal passato. E poi abbasso gli occhi sul bambino che ci guarda.
“E’ tuo figlio? Il tempo passa.....”  

“Si” – rispondi – “mio e di Maria...ricordi??’

Sorridendo ci allontaniamo, ognuno per la propria strada. Ricordo tutto, ogni momento, anche dopo quanto, 22 anni; il tempo sembra rallentato, tornato a galla da chissà dove. Ma sono felice, mi hai fatta felice, volo sulle punte verso la sera. Guido a casa dei miei, faccio le cose di sempre, doveri, consuetudini, il solito quotidiano, con le immagini del passato che si srotolano tra le tempie, come musica dagli auricolari, una frequenza a parte.  

Quando torno alla mia piazza è ancora festa. M’infilo tra le bancarelle, l’odore di cibo mi dà alla testa mentre ci spostiamo a fatica. Il suono dei tamburi è assordante ma io cerco, cerco, cosa. Muovendo tra le tende del mio passato, cerco la me di allora.  Ma  sono qui. Non dietro l’angolo, qui, non altrove.  Allora scivolo, tra la folla, indietro verso casa. Apro il portone e salgo su, verso la mia quiete monotonia, ma con un po’ di tenerezza in più.

lunedì 21 settembre 2009

Incongruenze

È una cosa strana quella della morte che arriva così...della guerra vissuta così.


Ricordo il video di una  giornalista spagnola che vidi  circa 3 mesi fa...per la prima volta  capii che i nostri soldati erano in guerra...si ...perché questo erano le immagini davanti ai miei occhi...silenziosa agghiacciante incredibile guerra:


un fortino sperso da qualche parte in Afghanistan... dentro i nostri militari... spari dappertutto... voci concitate... una telecamera  immobile che riprende una scala...soldati vicinissimi che a tratti si intravedono...urlano di spostarsi...via via...via via...gli spari da fuori a scroscio...mitragliatrici...inframmezzati da  parole urlate in italiano


A quelli come me... che alla guerra non ci vogliono pensare... che l’idea delle armi gli fa ribollire il sangue al punto che dà fastidio anche vederle nei film...e se li guardi è per non limitarti perché in fondo fa  parte di un minimo d’informazione...per quanto può essere informazione un film...rendersi conto tutto d’un colpo che dei ragazzi tuoi connazionali sono a fare la guerra...è un brutto risveglio.


Premetto che a me piace la realtà. In senso  concettuale intendo. Ho bisogno di ancorarmi alla realtà per terribile che sia. Io che tendo spesso  a sollevarmi al vento di mille sogni nella realtà trovo la salvezza.  E a volte “sporcarsi un po’ le mani”  con le brutture del quotidiano ti fa bene, un po’ come la sana sculacciata al momento giusto. Ma questo no.  Trovi pezzi della tua realtà in mezzo a qualcosa che ripudi con tutto te stesso e speravi di non vedere mai.


E mi tornano in mente i racconti di mio nonno che ha fatto la prima guerra e poi il partigiano in Val d’Orcia, e di mio padre e mia zia e della fame patita, della tessera che non bastava o le patate mangiate per un anno intero ringraziando iddio che quelle almeno riempivano la pancia, della guerra in Libia di mio zio e dei suo 7 anni di prigionia nell’allora Ceylon, insomma racconti che sapevano quasi di leggenda e che riecheggiano  ora con un senso di realtà diverso e nuovo.


Sensazioni contrastanti in mezzo a questi pensieri odiosi che mi assalgono ultimamente.
Perlopiù  perché sono pensieri inutili...intanto perché li tengo per me...poi perché non si traducono in azione...e infine perché se anche volessi agire in qualche modo non saprei che fare  di veramente incisivo. Posso cambiare il mondo? Posso impedire che gli uomini trovino mille scuse per farsi la guerra e uccidersi  con tutto l’orrore che questo comporta? No, certo che non posso, ma sapere che non è colpa mia non mi fa sentire meglio, anzi.  Perché penso che in fin dei conti io vedo solo la punta di un iceberg, ma la vera realtà di quello che è una guerra la sa solo chi la vive in prima persona, in "trincea", in mezzo agli spari, all’orrore. Ed è difficilissimo da accettare che accada tutto a due passi da casa tua. 


Mi chiedo, ma come si fa a non pensarci?


Poi ne muoiono altri 6, giovani che molti potrebbero essere miei figli, non hanno ancora vissuto niente della vita  ma laggiù hanno visto il peggio, e ora è tutto finito per loro.  E penso che questo modo fa schifo, la guerra fa schifo, la politica fa schifo, le major, l’industria bellica, tutto fa schifo.


Ma insieme all’orrore mi scende dentro  anche una spirale di pensieri a catena, su  perché quei ragazzi fossero lì. Perché questa non è più la leva, prima di partire per la missione questi  ragazzi hanno firmato per fare i soldati.  Per scelta.  Si sono addestrati, ci hanno creduto.  Una passione, di più, un ideale, altissimo, forte, al punto da rischiare la vita.  E mi dico che certo avrebbero preferito vivere ma forse per loro morire così ha un senso, e per questo deve averlo anche per noi.  E’ in questo modo credo, che dobbiamo mostrare il rispetto che si meritano, smettendo di discutere se è giusto o meno quello che hanno fatto.


La guerra è ingiusta ma loro erano lì per loro scelta personale, per difendere  una causa altissima, e nessuno di noi sconosciuti  che con loro abbiamo condiviso solo la cittadinanza, ha il diritto di giudicare. Io personalmente mi sento di ringraziare, per questo gesto estremo di generosità, anche se non condivido le motivazioni, anche se odio la guerra.  Li ringrazio.


Oggi  poi, vagando in Internet tra le notizie, mi è capitato di leggere il nome di Gianfranco Paglia, e spinta dalla curiosità mi sono informata sulla sua vicenda.  Ammetto di aver sempre guardato ai firmatari come a una specie di esaltati, spesso di matrice fascista, in particolare tra i parà della Folgore, gente in cerca di una causa a cui votarsi per vivere, o di un modo per "giocare" al soldato, per maneggiare le armi.  Confesso di non avere mai, in tempo di pace, pensato a loro con rispetto, anzi. Credo di essere stata estremamente cieca ed ingiusta.


Al di là delle convinzioni personali, delle ideologie politiche e culturali, ascoltare Gianfranco Paglia mi ha fatto sentire una sciocca presuntuosa superficiale ignorante. Dopo avere letto a lungo  ho cercato il video di Ballarò e lì ho sentito parlare un giovane uomo  che non smanica per farsi ascoltare, (e questo già fa specie dato che è deputato Pdl), ma che anzi si esprime con modestia e dignità, parco di parole soprattutto sulla sua condizione di eroe nazionale (e ne abbiamo così pochi, diciamocelo).   Non c’era niente di esaltato in lui, mi ha ricordato (passatemi l’abbinamento  quasi blasfemo), Papa Woytila, per quella fede che trasudava dalle sue parole pacate e che trasmettevano forza e, in qualche modo, serenità.  


Ecco, questo mi ha fatto riflettere. E’ di questa fede che dobbiamo avere rispetto, di chi crede in qualcosa così profondamente, con grande fervore e dignità, così intensamente al punto da dare la vita. L’onestà, la lealtà, l’onore, sono valori cosi rari da trovare, meritano rispetto, sempre e comunque.


La guerra fa schifo ma non facciamo demagogia sui caduti. Stiamo zitti, rispettiamo il loro sacrificio e per le lotte politiche usiamo altri argomenti.